top of page
Leone Paladini: una vita avventurosa.

  

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   Questi volontari furono abbandonati a sé stessi e neanche avvisati della ritirata generale, quando si verificò la disfatta delle truppe sabaude. Come molti, in quelle circostanze, raggiunse faticosamente il Piemonte portando in salvo la colonna di cui era responsabile, consegnò a Novara il materiale della colonna, si congedò dalla colonna «assai male diretta dai suoi capi» e con cinque vecchi amici di Milano si recò a Genova e qui si imbarcò per Livorno il 6 settembre 1848. In Toscana sbarcò il lunario alternando ingaggi militari con la vita civile.

   All’iniziò del 1849 si arruolò a Firenze, come milite, nella compagnia lombarda, organizzata da Giacomo Medici e che, con il nome di Legione Medici, partecipò alla difesa della Repubblica Romana: gli fu conferito il grado effettivo di sergente e quello onorario di ufficiale per il suo valoroso comportamento sul campo di battaglia.

   Dopo l’ingresso dei francesi del generale Oudinot, con un passaporto rilasciato dal console americano, si diresse a Malta insieme a Giacomo Medici, Cristina Trivulzio di Belgioioso e i superstiti della legione. Il governatore di Malta accolse Medici, Belgioioso e pochi altri che erano garantiti da cittadini britannici. Nel novero dei respinti c’era Leone che approdò a Tunisi dove esercitò il mestiere di verniciatore delle carrozze del bey (governatore turco) di Tunisi.

   Nel 1851 si traferì in Algeria dove risiedette fino al 1866 (1), precisamente a Biskra nel Nord Est. Il luogo, quando vi giunse, era semiselvaggio; quando lo lasciò, egli fu annoverato tra i fondatori della città moderna. Durante il suo soggiorno dovette arrangiarsi, come dimostrano le svariate attività da lui intraprese: medico (senza essere laureato in medicina), insegnante di italiano e di contabilità, impiegato amministrativo e aiutante chimico in farmacia, disegnatore di tavole anatomiche.

   Raggiunse la prosperità come coltivatore e commerciante di cotone, architetto e costruttore di fabbricati, appaltatore di servizi per l’esercito.

   Nel 1854, mentre era ancora residente in Algeria, si recò a Parigi per studiare fotografia, tecnica e arte allora nascente. Esercitò la fotografia, da girovago, a Orléans, Tours e Angoulême. A Bordeaux (non più con la macchina fotografica) fu dapprima facchino, poi direttore di una fabbrica di birra di due esuli politici tedeschi. Poi esercitò il commercio a Valencia in Spagna dove viveva il fratello Francesco.

   Nel 1859 non poté partecipare alla II guerra d’indipendenza perché, impegnato com’era nella sua attività di appaltatore, non poté lasciare Biskra, e, quando era in grado di partire, sopraggiunse la pace di Villafranca (8-11 luglio) tra Regno di Sardegna e Austria.

   Nel 1866 scoppiò la guerra tra Italia e Prussia alleati contro l’Austria. Leone abbandona l’Algeria ma giunge a Marsiglia quando l’armistizio di Cormons (12 agosto) pone fine alla guerra.

   Dopo un infruttuoso tentativo di commerciare a Parigi penne di struzzo e animali vivi provenienti dal Sahara, trova lavoro in Italia presso la Direzione delle Ferrovie Alta Italia in Torino. Ma la sua irrequietudine lo spinse ad abitare a Firenze, Messina, Roma svolgendo incarichi di natura bancaria senza buoni risultati.

   Tornò in Africa come agente della Colonie civile du Sahara che doveva costruire la ferrovia transahariana. La compagnia fallì dopo aver truffato gli azionisti.

   Nel 1884 Leone ritornò in Italia. Prima trovò un impiego a Milano come rappresentate di forni per residui di combustibile; poi fu cassiere di stamperia a Roma.

    Tra un impiego e l’altro non cessarono le piroette dettate dalla sua irrefrenabile fantasia: pittore e scrittore; pioniere dei trattenimenti mediante vedute ottiche; promotore di commemorazioni e attività organizzative; inventore di orari ferroviari brevettati; corrispondente della Società geografica.

   Leone Paladini, a differenza del fratello Cesare, era svagato, ironico, avventuroso.

Dimostrò queste sue caratteristiche fin da studente quando, ospite del Collegio Borromeo di Pavia, che in quel tempo era in territorio Austriaco, volle vedere cosa ci fosse nel confinante Regno di Sardegna; attraversò la frontiera; fu catturato dai Reali Carabinieri; finì in carcere per pochi giorni; fu rilasciato dal giudice sabaudo dopo aver accertato che Leone era figlio di un direttore di carcere. Leone esprime tutta la sua ironia quando racconta che, nel corso di questa disavventura, ebbe la fortuna di incontrare alcune ragazze nella piazza di Casteggio con tutto un seguito di reciproci corteggiamenti.

   Sulle Cinque giornate di Milano, cui partecipò con i fratelli Cesare e Francesco, Leone fa alcune interessanti osservazioni: vi parteciparono molti figli di impiegati austriaci e l’ateismo tra i giovani era molto diffuso. Egli stesso proclama: «Dall’età di 16 o 17 anni penso e agisco da convinto miscredente nel senso più ampio, e tanto da poter dare dei punti a Voltaire».

   Leone era convinto che, nell’agire, non dovesse prevalere l’interesse personale, ma che si dovesse sempre perseguire l’interesse sociale e dell’umanità.

   Dalla sua esperienza coloniale in Algeria, derivò la convinzione che l’elevazione del livello di vita degli africani avrebbe creato un grande mercato per i prodotti europei e ciò sarebbe avvenuto efficacemente se l’espansione coloniale fosse avvenuta da parte di un’Europa unita. Egli fu promotore di una ferrovia transahariana, convinto che un treno è un cantiere che cammina e, quindi, una “Associazione internazionale tra i governi europei” avrebbe dovuto realizzare quest’opera, sospendendo momentaneamente ogni possibile reciproca ostilità.

   L’idea di questa ferrovia ebbe inizialmente un riscontro positivo in Francia. L’Accademia delle Scienze lo aveva approvato; la Camera aveva autorizzato il governo ad incaricare una commissione – detta Missione Flatters – per studiare il tracciato della ferrovia; purtroppo, nel corso del suo secondo viaggio, il gruppo di studio fu sterminato dai Tuareg e tutto finì.

   Quando cominciò in Italia l’era industriale, Leone scisse la sua opera maggiore “Gli scioperi e la questione sociale in Italia. Parole ai poveri e ai ricchi, Fratelli Treves Editori, Milano 1873” (l’opera è reperibile in rete in edizione integrale). Gli operai con il loro voto saranno chiamati ad appoggiare le misure politiche ed economiche del governo. Leone non crede al mito dell’eguaglianza assoluta; ripudia la violenza da chiunque venga praticata; sostiene che l’educazione è fondamentale per esercitare consapevolmente il suffragio universale; osserva amaramente che la fraternità, diffusa dal cristianesimo, è stata tradita dalle sue sovrastrutture; fa notare che il mito del progresso si è limitato a uno sviluppo meramente tecnico ignorando totalmente quello spirituale.

Leone Paladini, nato nel 1823 e morto nel 1913. E' fratello minore di Cesare. Nel cimitero non c'è la tomba, ma una lapide commemorativa; non sappiamo dove è stato sepolto.

​

   Aveva la licenza in diritto (l’equivalente della laurea in Giurisprudenza). Quando scoppiarono le Cinque Giornate (1848) era praticante presso i banchieri Tealdo e Reymond con impegno triennale non retribuito.

   Presso il Governo Provvisorio ebbe incarichi dal Ministero della guerra ma, «disingannato per la confusione che vi regnava», preferì raggiungere i corpi di volontari che operavano ai confini del Tirolo.

   Dotato di una lettera di accompagnamento di Mazzini, fu incorporato nella colonna del colonnello Thannberg.

(1) L'anno 1866 è riportato nel libro di Boneschi già citato. Sulla lapide dedicata a Leone Paldini nel cimitero di Cremella è riportato l'anno 1862.
daily_download_20160204_128
00:00 / 04:01
bottom of page