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La battaglia di Porta Tosa.

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   Non desideriamo certo raccontare la storia delle cinque giornate di Milano, ma soffermarci solo sul coinvolgimento nella lotta di Pietro Pacciarini e della sua famiglia.

   Dopo aspri combattimenti, durati quattro interminabili giorni, durante i quali numerosi furono i morti e i feriti, i milanesi riuscirono a liberare tutta la città entro le mura. Tuttavia le truppe austriache pur sconfitte erano ancora minacciosamente presenti in quanto occupavano, strategicamente, sia il castello sforzesco che tutti i bastioni. In questo modo i milanesi erano di fatto assediati tra le mura, senza possibilità alcuna di comunicare con l’esterno.

   I rivoltosi tentarono di mandare notizie al di là dei bastioni utilizzando ingegnosamente palloni sonda, ma con scarsi risultati. Per questo, il Comitato di Guerra (nato dalla fusione del Consiglio di Guerra con il Comitato di difesa) decise che bisognava ad ogni costo rompere l’assedio. Ci furono tentativi in direzione di Porta Comasina, poi di Porta Ticinese, ma la vigorosa resistenza austriaca bloccò anche quest’ultimo assalto.

   Il Comitato decise allora di concentrare gli sforzi in direzione di Porta Tosa, dove si combatteva aspramente sin dal primo giorno. Durante i primi quattro giorni di battaglia, gli austriaci avevano difeso il borgo strenuamente utilizzando soprattutto truppe croate e sparando anche diversi colpi di cannone. Una grossa palla colpì anche il campanile di S. Pietro in Gessate[1], senza peraltro abbatterlo. Il mattino del 22 marzo, quinto giorno della battaglia, gli insorti guidati da Luciano Manara concentrarono tutta le loro risorse, e gli uomini, nel tentativo di conquistare la Porta, i relativi bastioni e la vicina polveriera. I cittadini piazzarono due grossi cannoni nella casa a fianco dell’Orfanatrofio, mentre altri insorti occupavano il vicino borgo della Fontana. Il tiro dei cannoni costrinse gli austriaci, che erano asserragliati intorno al dazio, a ritirarsi con la loro artiglieria nei pressi dei bastioni. Gli insorti dovettero combattere duramente e conquistare casa dopo casa, passando da una all’altra attraverso brecce appositamente aperte nei muri o strisciando nei diversi giardini o nelle ortaglie del borgo. Il combattimento fu cruento soprattutto nella zona del Conservatorio e durò l’intera giornata. Per potersi avvicinare ai bastioni gli insorti utilizzarono ingegnose barricate mobili, enormi fascine rotolanti inventate sul posto e fatte avanzare verso la Porta della città tenuta dai croati e da un corpo di cacciatori giunto in loro aiuto. Porta Tosa fu presa e persa molte volte, ma verso il tramonto dopo una durissima lotta le truppe cittadine guidate da Manara e Cernuschi, riuscirono a scacciare le truppe austriache da tutta la zona, collegando così la città con la campagna e con le truppe volontarie giunte da ogni parte della provincia a dar man forte ai milanesi.

   Le truppe austriache, sconfitte, ripiegarono verso il castello sforzesco dove tutto l’esercito d’occupazione si era ritirato, in attesa di decisioni.  Per la prima volta, i milanesi poterono ricevere grandi quantità di aiuti dalle campagne che, a loro volta, si erano ribellate al dominio austriaco.

     Tutti gli abitanti del borgo di Porta Tosa furono pesantemente coinvolti nella lotta, durante la quale numerose case furono distrutte, mentre altre, per rappresaglia, furono incendiate dalle truppe sconfitte. La drammatica scena della battaglia è plasticamente disegnata in una stampa d’epoca riportata nel libro di L. Tettoni, a pagina 148 (vedi foto incendio Porta Tosa).

Nello stesso libro sono elencate tra le case incendiate: il caffè della campagna, nei pressi del dazio; l’osteria della Stella, situata a capo dell’omonimo borgo; il famoso caffè Gnocchi, interamente distrutto, l’osteria dell’Asse che era appena fuori dalle mura cittadine, la casa situata nei pressi dell’osteria del Leone e infine il “nuovo caseggiato dell’osteria dell’Angelo”, di cui abbiamo già diffusamente parlato. Una descrizione particolareggiata del combattimento venne stampata e diffusa dal giornale il Lombardo. L’estrema asprezza dei cinque giorni di lotta è facilmente intuibile dal numero dei morti che si aggira intorno ai 300/400.

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Pietro Pacciarini alla Prima Guerra d'Indipendenza.

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[1] Cfr, Leone Tettoni, pag. 97

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