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Cesare Paladini: il grande erudito e lo zelante prefetto.

   Cesare Paladini nacque a Milano l’1 settembre 1820 da Giovanni e Adele Galliani; morì a Monza il 15 settembre 1884.

Volle che la sua sepoltura avvenisse a Cremella nella stessa zolla in cui giacevano i resti di suo suocero Angelo Galliani, primo sindaco di Cremella dal 1859 al 1867. Vedi foto complesso funerario.

   Giovanni, padre di Cesare, era ufficiale dell’Armata d’Italia che, al comando del vicerè Eugenio, partecipò alle guerre napoleoniche. Fu decorato da Napoleone della Corona di Ferro sul campo di Wagram: la battaglia ebbe luogo tra il 5 e il 6 luglio del 1809 e si concluse con una decisiva vittoria delle truppe francesi contro gli austriaci comandati dall'Arciduca Carlo. L’impegno militare di Giovanni sotto le insegne napoleoniche continuò con la campagna di Russia; poi sotto il governo austriaco divenne direttore del carcere che sorgeva a Porta Nuova. Partecipò alle Cinque Giornate di Milano, ricoprendo importanti incarichi nel governo provvisorio.

   Cesare Paladini aveva due fratelli: Leone e Francesco. I tre fratelli parteciparono alle Cinque Giornate, ma per breve tempo, perché furono presi prigionieri. Durante la prigionia Cesare arringò nella loro lingua i soldati croati incitandoli alla rivolta, tanto che fu isolato nelle cantine dove trascorse i duri giorni della prigionia.

   Dopo brillanti studi, Cesare conseguì all'Università di Pavia la laurea in giurisprudenza. La conoscenza di molte lingue (ne praticava una ventina), gli aveva procurato un impiego presso la Direzione generale della Imperial regia polizia. Dopo avere eser­citato inizialmente le funzioni di giudice di appello competente in gravi tras­gressioni di polizia, fu addetto all'Ufficio di censura. Il che con­sentiva a lui e ai fratelli di leggere le pubblicazioni sovversive.

   Nonostante il governo provvisorio, espressione della rivoluzione del 1848, pensasse di inserire Cesare nella propria struttura amministrativa, tuttavia la fine della rivoluzione e il ritorno del governo austriaco non gli nocquero. Infatti venne riconfermato nella pubblica amministrazione imperiale (conscia di essere moderata nelle epurazioni perché altrimenti rischiava di rimanere priva di dipendenti), ma, come unica sanzione, venne mandato in provincia ad occuparsi di funzioni finanziarie.

   Nel 1850 Cesare passò alla Direzione delle strade ferrate. Nel 1856 fu nominato coordinatore di una commissione per la consegna delle strade ferrate a una società concessionaria, compito che svolse, a giudizio della concessionaria, con “competenza e sagacia” realizzando un’attività di semplificazione delle pratiche amministrative.

   Il Regno d’Italia, subentrato all’Impero Austriaco, riconobbe la sua competenza nell’amministrazione delle ferrovie e lo nominò consigliere governativo delle Ferrovie dell’Alta Italia. Passò poi al Ministero degli Interni: fu consigliere di Prefettura nella Capitanata e nel Gargano e nel 1865 consulente del Consorzio Gargano.

   Nel 1866 fu nominato Commissario straordinario del re nella provincia di Vicenza e nello stesso anno fu nominato Prefetto di Belluno.

   Dopo dieci anni di servizio in varie sedi, tra cui Catanzaro, il decreto reale del 26 agosto 1876 lo dispensò dal servizio di prefetto di Treviso perché si oppose alla decisione del ministro degli interni Nicotera che voleva trasformare i prefetti in meri esecutori d’ordini, degradandoli al rango di fattorini.

   Cesare fu un “libero pensatore”: «Lasciate cadere molte forme di culto, scrollati dalla critica molti dogmi, l’idea della giustizia e lo studio di farne applicazione nella vita delle società e degli individui costituiscono ormai la più generale e sentita religione dei popoli moderni».

   I figli di Cesare, Ettore e Romeo, lo descrivono come un uomo eccezionale:

«Ebbe vasta intelligenza, memoria ferrea, acuta intuizione, erudizione enciclopedica ed insaziabile brama di sapere. Si occupò di etnografia, di botanica, di chimica addentrandosi nelle più astruse questioni, tracciò i sommi capi di una nuova teorica spettrale, fu profondo ed originale in matematica; fin dal 1845 concepiva la geometria a più di tre dimensioni. Lo studio fu quasi il solo suo diletto: tutto al mondo mi fu argomento di interessanti ed incessanti studi sotto l'aspetto fisico e sotto l'aspetto morale». Suo insegnante fu Carlo Cattaneo che era anche amico di famiglia.

  L’insegnamento di Cattaneo è presente nell’utopistico progetto di Cesare per una Confederazione Italiana, espresso in uno scritto del 1848: “L’Italia discentrica ed una o sia della trasformazione che dovrebbero subire le capitali provinciali”.  Nell’Italia liberata dallo straniero, dovrebbero rimanere tre dinastie: al Nord, i Savoia e i Lorena; al Sud, i Borboni. La stabilità sarebbe garantita dalla distribuzione dei centri di potere e degli uffici in dodici delle maggiori città italiane.

   Nello scritto “Della legge elettorale provvisoria” si dichiara favorevole al suffragio universale e all’indennità ai deputati. Riteneva giusto il voto alle donne anche se, a suo vedere, i tempi non erano favorevoli a causa dei pregiudizi maschili.

    La famiglia di Cesare pubblicò postumo nel 1887, con il contributo del governo, un volume di studi etnografici che contiene ricerche sulle razze e sulle nazionalità. Le ricerche sulle razze valutano, con metodo matematico, gli effetti degli incroci. Le ricerche sulle nazionalità sviscerano l’argomento affrontandolo da vari punti di vista: antropologico, storico, politico, economico, giuridico, linguistico.

   Cesare Paladini lasciò una copiosa raccolta di memorie, annotazioni, schizzi e schemi riguardanti i più svariati rami dello scibile.

   Enrico Morselli scoprì che Paladini era uno studioso delle scienze antropologiche di grande cultura e genialità, dedicandogli un saggio intitolato “Un etnografo italiano quasi sconosciuto. Cesare Paladini e la sua opera postuma”. Enrico Morselli non era uno qualunque. Nato a Modena il 17 luglio 1852, morì a Genova il 18 febbraio 1929. Si laureò in Medicina nel 1874. Psichiatra di formazione ebbe interessi che spaziarono dalla filosofia alla psicologia, dalla neuropatologia alla psichiatria forense, dalla terapia psichiatrica alla medicina legale, con profondità di indagine, acume critico e vigore polemico.

    Si progettò di radunare gli scritti di Cesare Paladini, di cui molti inediti, in un’opera omnia, ma ciò non fu possibile anche perché, osserva amaramente Mario Boneschi:

«Le carte, gelosamente conservate attraverso le generazioni, sembrano siano state distrutte da squallidi discendenti di Ettore Paladini venuti in possesso, per detenzione di fatto e non per diritto ereditario, dei beni culturali Paladini. Sono spariti, tra l’altro, i nove capitoli predisposti sin dal 1887 dai figli per il secondo volume di studi, questa volta linguistici e il prezioso diario di un Paladini del ‘700. La maggior parte di questi discendenti si è rifiutata di procedere alla messa in comune di quanto è stato salvato per costituire una raccolta storica da consegnare a un Museo, adducendo di avere interesse personale per le chincaglierie, come le decorazioni e i cimeli militari».

    Molti di noi hanno un senso profetico del proprio futuro, sentono che qualcosa deve avvenire, ma non sanno quando. Quasi intuisse la sparizione delle sue carte, Cesare Paladini ha affidato alla pietra della sua tomba e di quelle dei suoi cari le sue amate formule matematiche.

 

Bibliografia:

 

Boneschi Mario, Un famiglia milanese del Risorgimento: i Paladini, in Studi in onore di Federico Curato, Franco Angeli, Milano, 1990.

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